Il Quotidiano Libero intervista Marco Demurtas: Cinematerapia e riabilitazione

Inchiesta/Cinematerapia La migliore riabilitazione: scrivere e girare un film

Marco Demurtas è nato nel 1973 ed è laureato in Pedagogia con una tesi di Sociologia del Cinema. Approfondisce i suoi studi di sceneggiatura e didattica del Cinema, avendo tra i propri maestri Sergio Donati (sceneggiatore di Sergio Leone). Collabora a Sassari come attore con il teatro “S’Arja”, compagnia teatrale Growtoskyana e dopo 5 anni di lavoro con le emittenti televisive sarde all’interno delle quali cura format televisivi e spot pubblicitari, inizia la propria professione di educatore e formatore, specializzandosi nella creazione e realizzazione di laboratori cinematografici e cortometraggi all’interno di centri sociali, scuole e comunità. “Quando ho iniziato ad usare le mie tecniche con i ragazzi disabili inizialmente non sono stato capito dagli addetti ai lavori. Ho fatto sempre il mio lavoro di educatore passeggiando per la città, recitando, cantando o viaggiando con i ragazzi sulla mia auto, spesso filmando tutto con la mia telecamera..Veniva considerato molto “strano” il modo con cui mi rapportavo con loro ed alcune assistenti sociali (un po’ all’antica) hanno detto che io non facevo l’educatore ma portavo in giro i disabili a fare delle inutili scampagnate. Mi è stato detto pure che ero un po’ matto, perchè a volte giocavo con loro con le parole, le maschere, gli oggetti e filmavo tutto. Forse ero davvero un po’ matto ma ai “miei matti” piacevo così e ora sono molto contento che siano tanti quelli che mi seguono nei miei laboratori. A volte bisogna immedesimarsi ed essere un po’ come loro per capirli e per essere capiti. Questo ci aiuta anche a maturare un’empatia che ci permette di immedesimarci nei loro dolori. Recitare è sempre essere altre persone ma allo stesso tempo sé stessi. Per questo credo che la Cinematerapia sia uno spazio libero di condivisione umana ed espressiva tra educatori, artisti e allievi.”

Cosa si intende per Cinematerapia?

“La Cinematerapia appartiene alle artiterapie e ha una funzione non solo terapeutica ma anche riabilitativa. Il Cinema è uno strumento di socializzazione e quindi anche di riabilitazione: per questo è importante coinvolgere all’interno dei progetti allievi normodotati, diversamente abili e con problematiche sociali, senza escludere nessuno. Il Cinema non è solo recitazione ma anche immagine: uno strumento per vedersi e conoscersi. Quella che io definisco la maieutica della macchina da presa, cioè l’arte attraverso la quale conoscere, far venir fuori ed esprimere sé stessi utilizzando le grandi possibilità che offre l’audiovisivo. Durante i laboratori i ragazzi hanno modo di imparare i linguaggi base del cinema, si cimentano nella scrittura creativa del copione, realizzano gli Storyboard e sono registi, attori all’interno di un lavoro di squadra”.

La sua è una interpretazione della Cinematerapia diversa da quella ufficiale.

“Se per Cinematerapia si intende Terapia attraverso il Cinema possiamo dire che la Cinematerapia ufficiale sia abbastanza passiva e riguardi prevalentemente la visione di filmati a scopo più didattico che terapeutico. L’allievo non è quindi il protagonista ma è piuttosto un osservatore che viene stimolato alla riflessione usando le immagini. Un altro tipo di attività molto diffusa è quella di realizzare nelle scuole o nei centri 

sociali i cosìdetti laboratori di Cinema dove si insegna a utilizzare la telecamera ma anche quella non è la Cinematerapia che intendo io. Per me è un processo educativo/artistico più pragmatico che pur sintetizzando le metodologie appena descritte mette al centro di tutto la persona al fine della propria riabilitazione e del recupero sociale. Si tratta di un’esigenza di tipo pedagogico. Per questo la mia metodologia è quella di essere il più possibile me stesso e utilizzare come terapia le cose che so fare per aiutarli ad esprimersi. E’ un percorso nel quale la crescita e la sperimentazione è reciproca sia per gli operatori che per i ragazzi diversamente abili.

Che risultati si ottengono?
“La più grande soddisfazione che otteniamo è proprio il prodotto finito. Questo non significa che il laboratorio sia basato solo su questo, anzi siamo contrari a tutti quei progetti nei quali l’aspettativa del saggio crea nel gruppo quell’ansia da prestazione tutt’altro che socializzante ed educativa. Ciò che ci rende soddisfatti è vedere che attraverso la scelta metodologica di far esprimere gli allievi liberamente, vengono fuori delle storie che sono spesso il reale risultato di vissuti ed esperienze personali. Questo porta a un enorme verismo e a dei momenti di autentica comicità che non sono quasi mai involontari ma anzi sono il risultato di un’autocoscienza di sé stessi, dei propri tic e difetti che poi, appunto diventano gag. Sintomatico il cortometraggio “Jacky sindaco” presentato al Cuveglio Film Festival, nato in seguito ad un laboratorio con ragazzi diversamente abili, attori e formatori. Un’idea della teatroterapeuta Viola Ledda e Jacky Cidda, un ragazzo down con enormi potenzialità comico/espressive che ha scritto i suoi testi, stimolato e coordinato l’equipe di educatori e attori del Gruppo Culturale Cinemascetti.”

Articolo originale pubblicato su: Libero



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