Cosa ne avete capito di BUON LAVORO? Ovvero le recensioni/emozioni/suggestioni… dei nostri SPETTATORI!

Un’analisi del film e della società contemporanea, le analogie con Stanley Kubrick e “Arancia Meccanica”.

La mia recensione del film “Buon Lavoro” si apre con un’analisi che comincia nei primi venti minuti. In una delle prime scene, Marco stesso, nel personaggio che interpreta, con indosso una sgargiante maglietta blu, dice: “Mi sparo una briosciazza che mi smeriglia tutta la gargarozza!” Nel termine “Gargarozza”, ho sentito il “Gulliver” di Anthony Burgess, l’autore di “Arancia Meccanica”, poi ripreso nella sua pellicola omonima da un regista che adoro, per la sua maestria assoluta: Stanley Kubrick. Per assonanza, per il fatto che ci fosse un male da curare (in questo caso il protagonista della scena era affamato, mentre in “Arancia Meccanica” l’organo che necessita di cure è il cervello), ma soprattutto per una questione di ritmo, di successione delle scene, di musicalità. Questi sono i termini chiave per questa successione di eventi che ci vengono presentati nei primi venti minuti, essenziali per poter comprendere tutto il film, esattamente come nel romanzo di “Arancia Meccanica” e nell’opera cinematografica di Kubrick. Nella stessa maniera i fatti vengono presentati incalzanti e rapidi nel film. Il linguaggio utilizzato in questo caso è una licenza poetica da un vocabolo, “gargaròzzo”, affine al tardo latino: gargăla «trachea», da una radice *garg- assai diffusa in lingue romanze e in altre lingue indoeuropee antiche. Viceversa, il linguaggio utilizzato da Burgess è costituito da slangs composte da un mix di inglese colloquiale e russo. Il gulliver è il cervello, dall’assonanza con un termine russo che significa “testa”. Tali termini subivano spesso una trasformazione che nient’altro era se non una licenza poetica dell’autore. Si evincono quindi due realtà, una finta e una reale. La prima è “Arancia Meccanica”, che risulta essere una previsione distopica di un futuro prossimo e devastante, effettuata nei primi Anni Settanta e che, tuttavia, non è mai diventata reale. La seconda è una realtà che abbiamo vissuto in Italia e che ha ospitato un certo tipo di personaggi negli anni Ottanta: i Paninari. Sicuramente il mondo dei Paninari è molto più dolce, divertente e simpatico rispetto al mondo apocalittico di Kubrick. Il termine fa pensare a un qualcosa di succulento che viene preparato ed elargito o semplicemente a coloro che sono amanti di qualcosa di succulento, oppure entrambe le cose. Così facevano Alex Delarge, il protagonista di “Arancia Meccanica” e i Drughi, i suoi amici, ma in una chiave estremamente negativa, perché l’unica cosa che elargivano era l’ultraviolenza, della quale erano amanti. Così facevano i Paninari, anche loro parlando un linguaggio proprio, utilizzando delle slangs, ma elargendo la loro cultura. Così fanno i personaggi di “Buon Lavoro”, che riversano nello spettatore i loro sogni, aspettative, fantasie e, purtroppo, anche disperazioni. In realtà il termine “Paninaro” deriva dai luoghi in cui questi ragazzi si riunivano: le paninerie di tutti i tipi, in un’Italia che aveva appena introdotto i fast foods americani. Come in “Arancia Meccanica”, i Paninari degli anni 80 vivevano così, senza questa compostezza che individuiamo invece nei giorni d’oggi. Quello dei Paninari era un vero e proprio fenomeno, caratterizzato dal rifiuto di ogni forma di impegno sociale e politico e dall’adesione ad uno stile di vita fondato sull’apparenza e sul consumo. Erano presenti quindi il senso del gruppo, il desiderio di condivisione, l’elevazione della propria persona. Il paragone si evince dal fatto che in questi mondi, realtà e finzione, nei Paninari, come in Kubrick, come nel film di Demurtas, si mescolano.  Come in “Arancia Meccanica”, anche in “Buon Lavoro” vi è la previsione di una realtà che non si realizza ancora, una realtà che, come per i Paninari, è legata a dei simboli, a delle abitudini a dei veri e propri cerimoniali. Se in Arancia Meccanica c’è un mondo giovanile crudele e gli stessi cerimoniali fanno parte del simbolico e surreale inferno di Kubrick, nel film di Demurtas i Paninari con i loro simbolismi si divertono e sembrerebbero delle persone buone, tranquille e felici. Oppure non è così: magari è proprio  nel gargarozzo e nei “paninazzi” di Demurtas che si cela un mondo interiore disordinato e senza speranze, fatto di illusioni e privo di gioia. Un altro tipo di ultrà- violenza! Quella del rifugio nei simboli e nelle illusioni, in una vita disorientata, finta, steriotipata e priva di significato. L’orrore di Kubrick potrebbe stare proprio là?

Valentina Setzu 



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