Cosa ne avete capito di BUON LAVORO? Ovvero le recensioni/emozioni/suggestioni… dei nostri SPETTATORI!

Forse avrei dovuto ridurre la quantità di aglio, ma che ci posso fare se a mezzanotte mi è venuta voglia di un piatto di spaghettini con aglio, olio e peperoncino? Mi piacciono i particolari e le sfumature, così trito l’aglio a fine e lo scaldo appena nell’olio in cui metto un pizzico di sale e il peperoncino: in cinque minuti l’acqua bolle, tre minuti di cottura e la pasta spolverata di prezzemolo è già sul piatto. Quella comunanza di sapori e fragranze è l’ideale per ridestare i sensi e distendersi sul divano a guardare un film in tv senza calare la palpebra.
Una carrellata su Prime e l’attenzione mi è caduta sul film Buon Lavoro di Marco Demurtas, tra l’altro girato in Sardegna. Ho sistemato meglio i cuscini e attaccato l’aria condizionata.
Bene, intanto che mi godevo la frescura cominciavano a scorrere le immagini. Dopo venti minuti stavo a chiedermi che cosa stavo guardando, ambientazioni e dialoghi che definire strambi e surreali, sarebbe un eufemismo, scorrevano nello schermo che pareva più un balcone affacciato su uno strampalato e misero condominio che il telo bianco di un cinema. 
Difficile cogliere un filo, un senso in quelle storie di stralunate periferie e poi, quegli attori famosi, Giancarlo Giannini, Franco Nero, Giuliana De Sio, per citarne solo alcuni, frammisti ad altri che attori non sono e che probabilmente sono alla loro prima esperienza recitativa. Che strana mistura, però a pensarci bene non stona, in un certo senso funziona. Ho avuto come la sensazione che il regista, ritengo sia anche lui appassionato di cucina, abbia preso mezza scodella di Buñuel, una manciata di Mel Brooks, tre etti de La Pola e altrettanto di cinepanettone anni ottanta (mi scuso per gli irriverenti accostamenti) e poi abbia triturato finemente il tutto per impastarlo con un mix di storie strane. Dopo questa considerazione, alimentata anche dagli spaghettini indiavolati, ho iniziato lentamente a riconoscere in quelle immagini assurde, tante situazioni reali che non saprei definire, queste ultime, se normali oppure ancora più assurde di quelle rappresentate. 
Con il passare dei minuti, il senso della follia del film iniziava a dipanarsi. Ma certo! nella sua tragicomica narrazione offriva un angolo privilegiato di osservazione su chi vive ai margini della nostra società, in quella terra di nessuno dove emergono la continua lotta per i bisogni primari, la voglia di migliorare la propria condizione e le gomitate per guadagnarsi, con il lavoro, un piccolo posto al sole. Follia allo stato puro, naturalmente quella della nostra realtà quotidiana. Il film ci mostra ciò che siamo, oppure ciò che non vogliamo vedere e ce lo mostra dal di dentro: il suo non è uno sguardo da lontano, sono gli occhi di chi come tanti vive e si adopera in quelle realtà.
Eppure a guardarci dentro c’è da restare stupiti: un mondo dove ogni giorno è una vita a sé, dove nulla è scontato, codificato o rassicurante. Un mondo di fantasia resiliente e senza alternative, in cui ogni istante te lo devi inventare ed afferrare con i denti. Un mondo reale, senza finzioni, dove ognuno si mostra per quello che è, persino quando finge, pur di ottenere una piccola assunzione da sottopagato.
È un mondo che per coglierne la sua epica tragicità, va visto dall’interno, stando fianco a fianco di quella sincera e umana disperazione. Un percorso non semplice da attuarsi, specialmente per chi non ha mai vissuto quella realtà. Credo però che Marco Demurtas, con il suo film “Buon Lavoro” ci abbia offerto la possibilità di uno sguardo in prima fila, quasi a contatto di gomito con quel mondo così surreale e così dannatamente vero.
Dimenticavo, nel guardare il film è inutile che cerchiate di coglierne il senso fin dall’inizio: si parla di un mondo caotico. Lasciate che le varie situazioni rappresentate, si mescolino nella vostra mente e il senso si rivelerà in autonomia… e vi assicuro che la vostra pazienza ne sarà ricompensata. 
Il film merita di essere visto e rivisto, i momenti di riflessione sono veramente tanti.                           
 
SERGIO DEIDDA  
                                            
 
 
 
 
 
 
  


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