Carmelo Abbate e il “Bel Lavoro” di Buon Lavoro

Ho visto Buon Lavoro al Cinema Centrale, una delle più antiche sale di Milano. Un clima di festa: pubblico caloroso, composto da numerosi ex tossicodipendenti. Questo lungometraggio che ha da poco iniziato il suo viaggio nelle sale italiane, è stato infatti, in parte realizzato, all’interno della Comunità Promozione Umana. In sala c’ è anche Don Chino Pezzoli, l’uomo che ha fondato il Centro terapeutico, facendo della lotta alle dipendenze, la propria ragione di vita. Mi accoglie con grande gentilezza. E’ un uomo anziano ma ha negli occhi la vitalità di un ragazzino. Ho il grande piacere di intervistarlo.

Il regista Marco Demurtas che fa anche l’educatore nella Comunità, mi ha chiesto cosa ne penso e cosa ho capito di questo film, ci tiene molto a sapere il mio parere. “Marco, io non sono abituato a fare recensioni di film”, gli dico ma lui mi risponde che sono la persona giusta per parlare di Buon Lavoro: “Tu capisci le storie della gente e questo è un film, sulle storie della gente”.
Mi sto appena riprendendo dal finale del lungometraggio, con un montaggio sincopato che termina con una tragedia condominiale, molto simile ad alcune storie , delle quali si parla spesso in televisione.
Decido di parlare di getto delle mie sensazioni, non come un critico cinematografico ma come uno spettatore emozionato.

I personaggi di questo film sono tutti pazzi e assurdi ma è proprio la loro stranezza che li rende veri e le storie sono davvero tante.
Trentenni e quarantenni disoccupati che vivono ancora con i genitori, due ragazzi che sognano di diventare delle popstar e vorrebbero incidere un disco, attraverso un contributo comunale, un’universitaria che colleziona lauree e campa grazie alla pensione della vecchia zia disabile che nel film, è Alvaro Vitali. Marco, come si vede dallo stile, è molto affezionato al cinema di Fellini, tanto che ha voluto chiamare sul set, il suo attore feticcio. Vitali ripropone tutte le famose gag comiche ma in questo suo nuovo personaggio, noto delle sfaccettature più profonde, come ad esempio il rapporto d’invischiamento, tra zia e nipote.

Altre storie: un bambinone nostalgico che a quaranta anni suonati, sta ancora con i genitori, si veste come i Paninari e sogna gli anni ottanta, una youtouber e una cosplayer che hanno come unica ambizione i follower, un programma televisivo per casi umani, nel quale, i concorrenti che dimostreranno di essere più disagiati, potranno vincere un premio, grazie al televoto da casa. Forse però, in questo film, i veri casi umani, sono proprio quelli che stanno a casa: gli spettatori.
“Se dovessi parlare di queste maschere, come se fossero davvero delle storie di persone reali, cosa diresti?” mi chiede Marco. “Che cosa accomuna tutti questi personaggi che vengono raccontati?”

Io penso che vivano tutti un’esistenza precaria e vadano alla ricerca di qualcosa per emanciparsi. Il problema però è che quello che cercano è sbagliato, sono sbagliati i loro obiettivi e quindi il risultato sarà un disastro. Ma soprattutto, non esiste neppure una figura salvifica, uno a cui affidarsi, un mentore che li possa guidare verso una strada migliore.
Nessuno li aiuterà mai, a risolvere i loro problemi.
Il film è uno spaccato di vita ma non si tratta di una bella vita. Buon Lavoro, pur essendo una commedia, pone un focus spietato sul mondo e ne da un’ immagine amara e cattiva. C’è poco da ridere insomma! Può tuttavia, essere anche vista, come una diagnosi del male del mondo che però non ha una prognosi.
O forse si.

Magari mentre ci facciamo due risate, su questo strano universo di folli, nel vedere gente che non ha capito niente della vita e non otterrà mai nulla, rivediamo, senza ammetterlo, un po’ noi e i nostri vicini di casa. Questo inferno descritto, dove sbagliano tutti e nessuno aiuta l’altro, potrebbe anche essere utile a guardarci dentro , con la lente d’ingradimento del grottesco, per smettere d’essere così come siamo, o perlomeno provare a farlo. E’ importante ogni tanto osservarci da fuori ed analizzarci, un po’ come fa nel finale, il presentatore del “talent dei falliti”, interpretato dal comico Giuseppe Giacobazzi che ci mostra il plastico del condominio, dove è avvenuta la tragedia finale: “Una tragedia che si sarebbe potuta evitare!”
A fine spettacolo, un signore del pubblico in sala, ha detto.
“Questa è la realtà, peccato che sia così”
Credo che sia la migliore recensione che si potesse fare.

Buon Lavoro è un film che può essere visto anche didatticamente, secondo me, per osservare il mondo che siamo o quello che potremmo essere ed evitare di perpetuare i nostri comportamenti sbagliati. Consiglio di guardare questo film non solo per ridere ma anche per cercare di cambiare. E a tale proposito, penso che il migliore messaggio ce lo abbiano già regalato i ragazzi di questa comunità che con le belle energie e con il loro prezioso percorso umano, hanno capito, prima di noi, quali possano essere i passi da compiere verso il riscatto.
Credo che sia questo il “bel lavoro” di “Buon Lavoro”.

– Carmelo Abbate



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